E Jones creò il mondo, Philip K. Dick

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  La temperatura del Rifugio oscillava tra i 38 e i 40 gradi. L’aria era costantemente invasa dal vapore che si spostava e ondeggiava pigramente. Geyser spruzzavano acqua bollente e il «terreno» era uno strato mobile di melma calda, un composto di acqua, minerali dissolti e polpa fungoide. Resti di licheni e protozoi coloravano e ispessivano l’intruglio umido che gocciolava ovunque, sulle pietre bagnate e sugli arbusti spugnosi, sulle diverse installazioni funzionali. C’era un fondale accuratamente dipinto, una lunga piattaforma emersa da un oceano pesante. 

E Jones creò il mondo è il primo romanzo scritto da Philip K. Dick, anche se non è stato il primo ad essere pubblicato. Scritto nel 1954, ipotizza un lontano 2002 (!) ed è ambientato negli Stati Uniti. A seguito della terza guerra mondiale gli Stati Uniti si ritrovano con una buona dose di mutanti e con un governo che si basa sul “Relativismo di Hoff”. In poche parole, ad ognuno è permesso credere a qualsiasi cosa, anche alle cose più assurde, ma è severamente vietato fare proselitismo, o fare affermazioni di valore universale senza averne la prova, pena il trasferimento in campi di lavoro forzato. A livello esecutivo, la legge viene fatta rispettare anche tramite l’azione di spionaggio dei servizi segreti. 

Il romanzo, ambientato in un’atmosfera cupa e pessimista, si propone a metà strada fra fantascienza e distopia. Della fantascienza presenta tutti i topoi degli anni Cinquanta: alieni, viaggi spaziali, mutanti, una minaccia come metafora della guerra fredda, la bomba atomica, iscrivendosi così nel tipico filone paranoico dell’epoca. Della distopia, Dick presenta molte altre caratteristiche, l’ottusità della classe al potere, il totalitarismo paradossale di una forma di governo che parte dall’idea di proteggere la libertà di scelta dell’individuo. Al tempo stesso, ci sono dei fattori che allontanano il romanzo da un’identificazione assoluta con l’uno o l’altro genere: mentre nel mondo distopico di Dick non tutto è male, e il rimedio non è migliore del problema, è vero anche che i vari topoi fantascientifici vengono distorti fino ad apparire parodici. A questi fattori si aggiunge inoltre una tendenza all’analisi psicologica, come ad esempio nello svolgersi della storia fra i due coniugi: Cussick, poliziotto dei servizi segreti convinto della necessità di questo tipo di governo, nonostante la sua crudeltà, e Nina, che anela a sfuggire alla domesticità della vita familiare. 

La trama è questa: Cussick incontra in una fiera Jones, un mutante precognitivo che è in grado di vedere il futuro (ma solo fino ad un anno dal momento presente). In base alle asserzioni di Jones il governo è in grado di arrestarlo ma Jones riesce a dimostrare di affermare solo la verità, il futuro infatti gli dà sempre ragione. A questo punto comincia lo scontro fra il governo, desideroso di far sparire Jones e di impedirgli di presentarsi come una specie di messia agli americani, e Jones stesso che, folgorato dalla sua stessa visionarietà mette in piedi una nuova dottrina politica che prevede l’eliminazione del diverso e la conquista di mondi fino a trovare una versione accettabile di Paradiso. Ovviamente vincerà Jones (come si può contrastare chi conosce il futuro?) ma i suoi stessi limiti gli causeranno non poche difficoltà non previste.I filoni narrativi sono due: da una parte gli eventi degli umani, riassunti dall’esperienza di Cussick e della moglie Nina, dall’altra, le peripezie di un piccolo gruppo di mutanti artificiali frutto di un esperimento volto a creare esseri umani in grado di vivere senza supporti tecnologici su Venere. Il finale, seppure classificabile come happy ending, è nondimeno oscuro, ambiguo ed aperto.  

Qui alcune risorse per approfondire.  

Philip K. Dick. E Jones creò il mondo. (The World Jones Made)
Fanucci. 2001 (1956). 320 pagg. € 12,91.
Fantascienza.

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